«Ce la faremo insieme, Inshallah». I musulmani d’Italia lo sperano e invocano Allah, con preghiere e digiuni, per aiutare il nostro paese nel momento in cui l’emergenza ha cancellato i confini tra le comunità, azzerando le distanze etnico-religiose. E allora, se chiese, sinagoghe e moschee hanno dovuto chiudere le loro porte, di certo la preghiera per i diversi fedeli non si ferma. I musulmani nel nostro paese sono più di 2 milioni, e in questa circostanza hanno dovuto riorganizzare tradizioni e riti che non erano mai stati toccati prima d’ora.
Abdallah Massimo Cozzolino, segretario generale della confederazione islamica italiana, che raccoglie 356 moschee nel territorio, spiega che «La fede si può attivare in ogni luogo, e per ora abbiamo sviluppato attraverso le piattaforme social, Facebook ma anche Youtube, diversi contenuti, in cui diamo ai nostri fedeli un sostegno di tipo religioso e psicologico, invitando i fratelli e le sorelle musulmane ad attenersi alle direttive del governo. I contenuti – precisa – sono realizzati sia in lingua italiana sia in arabo».
Malgrado le alternative digitali, tuttavia, molti fedeli si sono comunque ritrovati un po’ smarriti: «Al momento – spiega Abdallah Redouane, Segretario generale della Grande Moschea di Roma – ci è stato segnalato solo il caso di una moschea a Napoli che non si è adeguata al rispetto delle misure restrittive contenute nei Dpcm, ma alla seconda settimana di quarantena, con il bollettino della protezione civile che registra numeri in crescita di morti e contagiati, gli scettici hanno cominciato a cambiare idea».
Il tam tam che corre sui social è inequivocabile: «State a casa, chi non lo fa vìola la legge e anche le prescrizioni islamiche, perché mette a rischio la propria vita e quella degli altri», dicono nei video gli imam italiani. «Nelle nostre realtà periferiche – spiega ancora Cozzolino – abbiamo invitato le comunità a donare il sangue e la chiamata ha avuto una grande risposta, così come le diverse raccolte fondi avviate sul terriotrio, a dimostrazione della solidarietà di tutta la comunità». Tutti i lunedì e i giovedì, inoltre, tutta la comunità islamica si raccoglie insieme, anche se ognuno a casa propria, nella preghiera e nel digiuno, e prima della preghiera del Maghreb, i tappetini dei fedeli musulmani sono tutti rivolti alla Mecca – anch’essa circondata da un vuoto surreale – con mani alzate al cielo, e invocazioni ad Allah «affinché fermi la pandemia che sta colpendo tutta l’umanità».
Tra le vittime del coronavirus ci sono anche persone di fede musulmana, che vivono in questo frangente il dramma della sepoltura, dal momento che non è possibile rimpatriare le salme nel paese di origine come avviene di solito. Un’emergenza nell’emergenza, dunque, perché sul territorio italiano i cimiteri islamici sono solo una cinquantina. «A causa dell’emergenza Covid-19 – dice Yassine Lafram, dell’Ucoii – le rotte aeree e marittime del nostro paese sono chiuse con l’estero, e questo ha portato la giacenza di molti corpi di musulmani deceduti sia per coronavirus che per altre cause in diversi obitori». Il problema – aggiunge Yassine Lafram – «non è solo la carenza del numero di cimiteri islamici sul territorio nazionale, ma anche le strette regole comunali sui cimiteri che difficilmente permettono di ospitare defunti di altre province o regioni, e ciò rende ancor più difficile ogni operazione di sepoltura dei musulmani nel territorio nazionale».
Non prevedendo la religione islamica la cremazione, la questione dei defunti musulmani, che ogni giorno cresce di numero, sta diventando un problema serio, e per questo le organizzazioni islamiche si stanno attivando assieme ad alcune Prefetture, ed in contatto con il Ministero dell’Interno, per poter agevolare la sepoltura dei defunti musulmani.
Lo sa bene Hira Ibrahim, 20 anni, che dal 18 marzo scorso è rimasta nella sua casa di Pisogne, in provincia di Brescia, con il corpo di sua madre in una bara, morta a 46 anni durante l’emergenza coronavirus, e che fino a ieri non ha ancora trovato un cimitero disposto ad accoglierla. Il Paese di origine di Hira e di sua mamma, la Macedonia, ha chiuso i confini impedendo di fatto il rimpatrio delle salme, la burocrazia italiana non consente la sepoltura nei cimiteri islamici se non si è residenti, e dunque molti musulmani, tra cui la mamma di Hira, fa-ticano ad avere un sepoltura dignitosa. Non si tratta purtroppo di un caso isolato, tanto che sul tema è dovuto intervenire il Consiglio europeo degli ulema marocchini per tutti i musulmani in Europa, che eccezionalmente consente una sorta di «sepoltura temporanea» nel paese del decesso, in attesa di poter effettuare la sepoltura corretta una volta terminata l’emergenza.
«Si porta all’attenzione di tutti – dice la nota diffusa dal Consiglio – che la terra non rende sacro nessuno, ma sono le buone opere che glorificano il defunto. Inoltre, è legalmente consentito per il defunto lasciare un testamento che prescrive il successivo trasferimento del suo corpo nel luogo di sua scelta, non appena le circostanze lo consentano e la legge relativa alla sepoltura lo consente».
Il rito della sepoltura, per i musulmani, ha radici che affondano nelle profondità della storia: «Il Corano – spiega l’Imam Youssef Zahir della moschea di Crema e Monza – richiama l’importanza del rito, ma senza fornire i dettagli, che invece troviamo nella sunna del profeta Muhammad, dove ci viene indicato come lavare il corpo del defunto, cospargendolo con del profumo, per poi avvolgerlo in un numero dispari di sudari bianchi, in genere tre per gli uomini, cinque per le donne. Dopo aver preparato la salma – continua l’imam – si procede ad una preghiera collettiva, la Salat al Janaza, in direzione della Mecca, che ha la funzione di rendere coesa la comunità dei credenti. La preghiera funebre è un dovere individuale e ha validità anche se compiuta da una persona sola». Tutto questo adesso non è più possibile, ma cosa significa per un musulmano derogare al rito della sepoltura, ancorché in circostanze di emergenza? «L’attuale situazione è complicata – spiega l’Imam Zahir – e proprio per questo bisogna essere molto chiari: per quanto per l’Islam sia importante il rispetto del defunto, è prioritario preservare la vita umana, la tutela della salute di tutti, i vivi hanno la priorità, e il dovere di un buon musulmano è attenersi alle direttive emanate per contenere e frenare la diffusione del Covid-19». L’Imam Zahir ricorda a questo proposito le parole del profeta Muhammad: «Se sentite che in una terra c’è la peste, non andateci, ma se la peste appare in una terra dove vi trovate, non fuggite». E di fronte a un defunto «ci dice di non procedere con il lavaggio del corpo, così come consuetudine, per impedire la diffusione del contagio». Chi ha contratto ancora il virus, dice ancora, «ma ha avuto pazienza e non è uscito dalla propria abitazione, se muore andrà in paradiso».
I morti per Coronavirus sono dunque dei martiri, come ha indicato la fatwa del consiglio degli Ulema in Belgio, che ha invitato alla sospensione del rituale lavaggio islamico della salma e della preghiera funebre. Il Corano prevede inoltre che si possa rinunciare alla preghiera comune, per sostituirla con quella individuale, “là dove ci siano condizioni di pericolo o le condizioni metereologiche siano avverse”. Cosa possiamo fare?, chiedono da più parte i fedeli: “Pregare Allah il Misericordioso e Compassionevole, per invocare la Sua Clemenza affinché arresti la pandemia che ha colpito il nostro Paese, l’Italia, e l’intera umanità – spiega Zahir – pentirsi delle proprie mancanze, impegnarsi fermamente a confermare il proprio amore per la bellezza della vita spesa al servizio di Iddio e per il prossimo e per la pace, rispettare le direttive e disposizioni del governo e degli esperti per la tutela della salute di tutti, impegnarsi in questa difficile situazione di crisi con azioni positive ed efficaci di solidarietà verso i cittadini in difficoltà, per il nostro Paese.” Le settimane passano, e c’è già chi pensa con preoccupazione al Ramadan, previsto alla fine di aprile, un mese sacro per tutto il mondo musulmano: “Speriamo e confidiamo che andrà tutto bene, se Iddio vuole – dice speranzoso l’Imam Zahir – ma se non riuscissimo a superare questa grave situazione per l’inizio del mese Sacro del Ramadan saremo tenuti ad osservare il digiuno, rinunciando alle preghiere rituali obbligatorie e supererogatorie, pregando a casa. Iddio non ci ha imposto nulla di gravoso nella religione – ricorda – abbiamo un bel versetto nel Corano in cui è scritto: ‘Allah non impone a nessun’anima qualcosa che vada al di là delle sue capacità. ciò che ognuno avrà guadagnato sarà a suo favore, e ciò che avrà demeritato sarà a suo danno’”.
Per un frangente così delicato e unico, l’imam Zahir, consiglia la lettura della Sura As-Sajda (La Prosternazione) XXXII, della Sura Al-Mulk (La Sovranità) LXVII, “entrambi capitoli che ragionano sulla sovranità di Dio, ci fanno ricordare che tutto appartiene a Lui l’Onnipotente e Colui Che ha creato la morte e la vita per mettere alla prova chi di noi meglio opera, e che la vita è nient’altro che una dura prova. Aggiungerei anche la Surat Ad-Duhâ (La Luce del Mattino) XCIII, che ci dice il Signore non ci ha abbandonato e non ci disprezza, ma che è sempre con noi per proteggerci.”