«Terrorismo, per colpa tua noi musulmani siamo due volte vittime. Sei molto astuto, ma in tanti abbiamo capito a che gioco stai giocando, tu che ti fingi organo di una religione che predica odio. Mi spiace, ma proprio devo dirtelo, questa è solo pura follia e invenzione. Nessuna religione ordina lo spargimento di sangue e la distruzione delle storie che stronchi in un attimo, con due parole usate a sproposito, nelle tue mille mila esecuzioni. Volevo dirti che l’odio che dici di leggere nei testi sacri è, in realtà, dentro di te, e non in quelle righe che erroneamente citi.
Sono stata tua vittima, terrorismo, non fisicamente ma mentalmente: ho avuto paura delle conseguenze dei tuoi attacchi, che non conoscono un Dio, che non conoscono nessun tipo di umanità. Ti coprono le spalle non dicendo che, in realtà, il 95% delle tue vittime sono di fede musulmana. Ma non c’è nessun essere umano che importi più dell’altro, di fronte a Dio siamo tutti uguali.
Non ti vergogni ad usare la morte delle persone per indebolire chi sta in vita? Non ti vergogni a sottomettere e schiavizzare chi casca nel tuo tranello? E non si parla di una schiavizzazione fisica, ma di pensiero.
Una vera e propria educazione ed incitamento all’odio, che parte dai bambini a cui insegni ad usare le armi, e arriva a chi, per colpa tua, condanna e colpisce una comunità di pace e fede come “problema” nelle società. Non ti vergogni a distruggere i vari percorsi di vita dei giovani musulmani che, a causa tua, vengono ingiustamente identificati in te?
Qui si tratta di manipolare menti, per la distruzione di una comunità di oltre 2 miliardi di persone al mondo; questo lo chiami problema? Siamo manodopera e lavoro, siamo amici e colleghi, siamo idee e pensieri, siamo cuori, anime e menti, siamo il saluto “La pace sia con te” per strada, siamo solo esseri, esseri umani, come tutti voi, noi siamo voi.
Ora io non ho più paura: basta, non sei degno di essere temuto. Sono stufa di essere vittima, voglio solo essere libera da maschere, da etichette che pesano, pesano quanto un macigno sul cuore».
Munira Lashin